RIEVOCAZIONE STORICA MEDIEVALE CERIMONIA D'APERTURA
FIERA FRANCA DI MESSINA
La storia
Nel 1296, quando Federico d’Aragona concesse alla città di Messina di tenere la “Fiera del Santo Sepolcro” (località che corrisponde, oggi, all’attuale sede fieristica) e ne sancì la durata in 15 giorni, l’apertura della Fiera era annunciata alla popolazione con un solenne corteo. Un giovane, appartenente ad una delle famiglie nobili messinesi più importanti, recava lo stendardo della “Fiera Franca” che, secondo un preciso cerimoniale, veniva depositato nella chiesa di Santa Maria della Scala nella Valle detta la “Badiazza” che sorgeva e sorge sull’argine destro della fiumara omonima. Lì rimaneva per tutto il periodo della Fiera per poi essere riportato, a conclusione della manifestazione e sempre con un solenne corteo, in città.
Si trattava di un particolare privilegio di cui godeva l’Abbadessa del monastero di Santa Maria della Scala, come sottolinea Cajo Domenico Gallo nel suo Apparato agli Annali della Città di Messina stampato a Napoli nel 1755: “[…] come anche eleggeva il Maestro di Fiera per privilegio di Guglielmo II, e la Fiera, come si disse sopra, facevasi nella Spiaggia, e Piazza del Santo Sepolcro nel principio del torrente, che conduceva a questo Monastero, il quale ne conseguiva i proventi […]”.
Sul cerimoniale seguito, si sofferma lo storico messinese Giuseppe Buonfiglio nella sua Messina Città Nobilissima stampata a Venezia nel 1606: “Et in questo giorno suolsi portare per la Città lo stendardo d’ormesino cremesino da un fanciullo de’ primi Nobili à cavallo in trionfo, accompagnato à cavallo dal Senato, & dalla Nobiltà, & per antica usanza questo gran stendardo si cava & si riconduce in Santa Maria della Scala;”.
Ancora il Gallo, in proposito, scrive: “In tal giorno davasi principio con solenne cavalcata portandosi lo stendardo della franchigia da un nobile giovanetto a cavallo accompagnato dallo Stradicò, e Senato, e posteriormente anche dall’Ordine Militare della Stella […]. Questo stendardo prendevasi dalla Chiesa, e Monistero di Santa Maria la Scala, dove riportavasi dopo essersi girato per la Città”.
A questa cerimonia solenne d’apertura era demandato dal sovrano il “Mastro di Fiera” o “Conestabile”, ricordato ancora dal Buonfiglio nel 1606: “[…] andava con guardia & gran famiglia, & haveva il suo vice conestabile […]”.
La cerimonia era preceduta dall’annuncio del banditore pubblico che ad alta voce, girando per la città, dava lettura delle specifiche disposizioni impartite dal Senato.
Gaetano La Corte Cailler riporta una particolareggiata descrizione della cerimonia, secondo quanto appreso da uno scritto del sec. XVII, dal quale si evince che il corteo al seguito del pubblico banditore era formato da 25 persone a cavallo con in testa “[…] il capo dei tamburini a cavallo, con veste di panno rosso guarnita intorno con vistose guarnizioni di seta gialla. Porta questi in mano un bastone di 5 palmi (metri 1,29) la cui punta di sopra è conficcata con un gran sigillo d’argento con l’Arme della città di mezzo rilievo, donde svolazzano, i due capi d’una tocchetta di seta cremisina, che vi stà per vaghezza artificiosamente attaccata. Seguono sei tamburini con sopravveste di damasco cremisino, con trine di seta gialla.
Appresso vengono sei trombettieri, con casacche, calzoni e ferraioli di damasco cremisino perfilati di trine d’oro con le trombe, dalle quali vistosamente pendono le banderuole di damasco pur cremisino, in cui vi sono gentilmente dipinte ad oro l’Arme della città; di più si veggono sei suonatori di pifferi, vestiti di damasco vermiglio, cò ferraiuoli di damasco negro e trinati di seta negra; dopo di questi compariscono i sei portieri del Senato, con casacche, calzoni e ferraiuoli di panno color paonazzo con guarnizioni della Città fatte getto di argento massiccio.
Tutti i prenominati tamburini, trombettieri, pifferi e paonazi, vanno a cavallo a due a due, con le gualdrappe di panno rosso, fregiato intorno con doppie liste di raso giallo. L’ultimo viene il Banditore col suo nobile cavallo, guarnito pomposamente in velluto cremisino e perfilato con larghe trine d’oro; e dai pendagli del girello pettorale e sopracollo pendono ricchi fiocchi di seta dell’istesso colore, avvolti con bellissime reticelle d’oro. Anch’egli è vestito di velluto cremisino con la berretta del medesimo drappo fatta a pieghe e cinta d’un grosso cordone di seta pur cremisino, i cui capi si congiungono con artificioso gruppo ricamato d’oro. Veste di più la toga di broccato cremisino d’oro arricciato, la qual è anche superbamente adornata con larghe trine d’oro finissimo. Così vanno per le strade maestre suonando i tamburi, e nelle piazze più frequentate; dandosi prima il fiato alle trombe e poi ai pifferi, il Banditor ad alta voce promulga il “Bando e Comandamento da parte dell’Illustrissimo Senato, Regi Consiglieri e Gran Cancelliere del Pubblico Studio di questa Nobile ed Esemplare Città di Messina…”.
Finita la grida, suonan di nuovo le trombe e i pifferi, e vanno a pubblicare il Bando agli altri luoghi soliti, battendosi intanto i tamburi con molta allegrezza del festeggiante popolo.”.